IL PRESIDENTE
                     DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  Visto il decreto-legge dell'11 giugno 1998, n. 180, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 267 del  3 agosto 1998 e in particolare
l'art. 1 che:
  al comma 1 demanda alle Autorita'  di bacino di rilievo nazionale e
interregionale, e  alle regioni per  i restanti bacini,  l'adozione -
ove non  si sia  gia' provveduto  - di piani  stralcio di  bacino per
l'assetto idrogeologico, ai sensi del  comma 6-ter dell'art. 17 della
legge  18  maggio  1989,  n. 183,  e  successive  modificazioni,  che
contengano in  particolare l'individuazione, la  perimetrazione delle
aree   a  rischio   idrogeologico  e   l'adozione  delle   misure  di
salvaguardia con  il contenuto di  cui all'art. 6-bis  della predetta
legge n. 183 del 1989;
  al comma 2 prevede che: "il Comitato dei Ministri di cui all'art. 4
della richiamata legge  n. 183 del 1989, di intesa  con la conferenza
permanente per  i rapporti  tra lo  Stato, le  regioni e  le province
autonome  di  Trento e  Bolzano,  definisca  programmi di  interventi
urgenti per la riduzione del  rischio idrogeologico nelle zone per le
quali la maggiore  vulnerabilita' si lega a maggiori  pericoli per le
persone, le cose ed il patrimonio  ambientale", sulla base di un atto
di indirizzo e coordinamento, da adottarsi entro il 30 settembre 1998
su proposta del predetto Comitato  dei Ministri per i servizi tecnici
nazionali e  gli interventi  nel settore della  difesa del  suolo, di
intesa  con  la predetta  conferenza  Statoregioni,  che individui  i
criteri relativi  agli adempimenti  dei ricordati commi  1 e  2 dello
stesso decretolegge, come convertito con legge n. 267 del 1998;
  Vista la legge  18 maggio 1989, n. 183,  e successive modificazioni
ed  integrazioni, recante  "Norme  per il  riassetto organizzativo  e
funzionale della difesa del suolo",  e in particolare l'art. 4, commi
2 e 3,  che individua le funzioni del predetto  Comitato dei Ministri
per i  servizi tecnici nazionali  e gli interventi nel  settore della
difesa del suolo e l'art. 17,  commi 3, 6-bis e 6-ter, riguardanti in
particolare  finalita' e  contenuti dei  piani di  bacino, dei  piani
stralcio di bacino, nonche' l'adozione delle misure di salvaguardia;
  Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante "Delega al Governo per
il conferimento  di funzioni e  compiti alle regioni ed  enti locali,
per   la   riforma   della   pubblica  amministrazione   e   per   la
semplificazione amministrativa",  in particolare  l'art. 8,  comma 1,
che  subordina  alla  previa  intesa  della  conferenza  Statoregioni
l'adozione degli  "atti di  indirizzo e coordinamento  delle funzioni
amministrative regionali", nonche' lo stesso art. 8, comma 5, lettera
e), che abroga l'art. 1, comma 1, lettera hh), della legge 12 gennaio
1991,  n.  13, in  forza  del  quale  competeva al  Presidente  della
Repubblica  l'emanazione  degli  atti di  indirizzo  e  coordinamento
dell'attivita' amministrativa delle regioni;
  Visto  il  decreto legislativo  28  agosto  1997, n.  281,  recante
"Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  conferenza
permanente per  i rapporti  tra lo  Stato, le  regioni e  le province
autonome di  Trento e Bolzano" ed  unificazione, per le materie  ed i
compiti  di interesse  comune  delle regioni,  delle  province e  dei
comuni,  con  la conferenza  Statocitta'  ed  autonomie locali",  che
all'art.  3 detta  le disposizioni  che devono  applicarsi a  tutti i
procedimenti  in cui  la  legislazione vigente  prevede un'intesa  di
detta conferenza;
  Visto il decreto legislativo 16  marzo 1992, n. 266, recante "Norme
di  attuazione  dello statuto  speciale  per  il Trentino-Alto  Adige
concernenti  il  rapporto  tra   atti  legislativi  statali  e  leggi
regionali e provinciali,  nonche' la potesta' statale  di indirizzo e
coordinamento", che all'art.  3 dispone che la regione  o le province
autonome  di  Trento  e  Bolzano   siano  consultate,  a  cura  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, su ciascun atto amministrativo
di indirizzo e coordinamento, al  fine di valutarne la compatibilita'
con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione;
  Viste   le  risultanze   dell'istruttoria   tecnica  svolta   dalle
amministrazioni  centrali che  si  sono avvalse  dei servizi  tecnici
nazionali;
  Considerato che nelle riunioni  tecnicopolitiche del 29 luglio 1998
e  6 agosto  1998  si  e' avviato  un  lavoro congiunto  Statoregioni
preparatorio  alla redazione  dello  schema di  atto  di indirizzo  e
coordinamento previsto  dall'art. 1, comma 2,  della richiamata legge
n. 267 del 1998  e che nelle successive riunioni del  7 e 8 settembre
1998, sulla base  dei contenuti della prima bozza di  schema di atto,
predisposta dalle  amministrazioni centrali e prodotta  nel ricordato
incontro del 7  settembre 1998, i rappresentanti  delle regioni hanno
fatto osservazioni  ed elaborato proposte integrative  e modificative
del testo della predetta bozza,  chiedendone il recepimento nel testo
definitivo;
  Considerato che alle predette riunioni del 29 luglio 1998, 6 agosto
1998 e  8 settembre 1998  sono stati  chiamati a partecipare  anche i
rappresentanti delle  autonomie locali,  al fine di  raccogliere ogni
contributo utile alla definizione dello schema di atto di interesse;
  Viste le note prot. n. 4357/98/C.3.1.11 e n. 4358/98/C.3.1.11 del 9
settembre  1998  e  le  note   prot.  n.  2.  4478/98/C.3.1.11  e  n.
4479/98/C.3.1.11 del 16 settembre 1998  con le quali si e' provveduto
ad inviare alle province autonome di  Trento e Bolzano il testo dello
schema  di atto  di indirizzo,  ai sensi  del richiamato  art. 3  del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266;
  Visto il  documento con il  quale le regioni hanno  formalizzato le
loro proposte  di modifica alla  bozza di lavoro esaminata  nel corso
dei richiamati  incontri tecnicopolitici  del 7  e 8  settembre 1998,
inviato  con  nota dell'11  settembre  1998  dalla regione  Piemonte,
capofila per materia;
  Visto lo schema di atto  di indirizzo e coordinamento approvato dal
Comitato  dei  Ministri  per  i   servizi  tecnici  nazionali  e  gli
interventi nel settore  della difesa del suolo, di  cui al richiamato
art. 4  della legge  n. 183  del 1989 nella  seduta del  15 settembre
1998, inviato  dal Ministro dei lavori  pubblici, Presidente delegato
del  predetto  Comitato,  con  nota  prot.  n.  DSTN/2/19132  del  16
settembre 1998, che recepisce parte  delle richieste avanzate in sede
tecnicopolitica dai rappresentanti delle autonomie regionali;
  Vista la delibera della conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province  autonome n. 545 in data 24 settembre
1998  con  la  quale  e'  stato approvato  con  alcune  modifiche  ed
integrazioni il testo dell'atto di indirizzo e coordinamento adottato
dal su richiamato Comitato dei Ministri;
  Ritenuto   di   potere   accogliere  le   suddette   modifiche   ed
integrazioni;
  Su proposta del Ministro dei lavori pubblici;
                              Decreta:
                               Art. 1.
  E'  approvato  il  seguente   atto  di  indirizzo  e  coordinamento
concernente l'individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di
cui  ai  commi 1  e  2  del decreto-legge  11  giugno  1998, n.  180,
convertito,  con modificazioni,  con  legge 3  agosto  1998, n.  267,
recante "Misure urgenti per  la prevenzione del rischio idrogeologico
e  a favore  delle zone  colpite  da disastri  franosi nella  regione
Campania".
                  ATTO DI INDIRIZZO E COORDINAMENTO
 Premesse.
  Il decreto-legge 11 giugno 1998, n.  180, convertito con la legge 3
agosto 1998,  n. 267  (nel seguito,  per semplicita',  indicato come:
decreto-legge n. 180/1998), stabilisce all'art. 1, comma 1, che entro
il 30  giugno 1999,  le autorita'  di bacino  di rilievo  nazionale e
interregionale e le  regioni per i restanti bacini  adottano, ove non
si sia  gia' provveduto,  piani stralcio per  l'assetto idrogeologico
che contengano  in particolare  l'individuazione e  la perimetrazione
delle aree  a rischio idrogeologico  e che  in quelle aree,  entro la
stessa data, vengano comunque adottate misure di salvaguardia.
  Il comma 2 dello stesso art. 1, inoltre, stabilisce che il Comitato
dei Ministri di cui all'art. 4  della legge n. 183 del 1989, d'intesa
con la conferenza permanente per i  rapporti tra lo Stato, le regioni
e le  province autonome di  Trento e di Bolzano,  definisce programmi
d'intervento  urgenti, anche  attraverso azioni  di manutenzione  dei
bacini  idrografici,  per  la riduzione  del  rischio  idrogeologico,
tenendo conto dei  programmi gia' in essere da  parte delle Autorita'
di bacino  di rilievo nazionale,  nelle zone nelle quali  la maggiore
vulnerabilita'  del territorio  si lega  a maggiori  pericoli per  le
persone, le cose ed il patrimonio ambientale.
  Per consentire  alle Autorita' di  bacino e alle regioni,  in primo
luogo a quelle ove l'attivita'  di pianificazione si trovi all'inizio
dell'attivita' conoscitiva, di realizzare  prodotti il piu' possibile
omogenei e confrontabili  a scala nazionale, occorre  procedere ad un
primo  atto  di  indirizzo  e coordinamento,  inteso  a  definire  le
attivita' previste dal  decreto-legge n. 180/1998, art. 1,  commi 1 e
2.
  La  redazione del  presente atto  di indirizzo  e coordinamento  si
attiene al carattere emergenziale del decreto-legge n. 180/1998.
  La individuazione e  perimetrazione sia delle aree  a rischio (art.
1,  comma 1),  sia  di  quelle dove  la  maggiore vulnerabilita'  del
territorio si lega a maggiori pericoli  per le persone, le cose ed il
patrimonio ambientale  (art. 1,  comma 2)  vanno percio'  intese come
suscettibili di  revisione e perfezionamento,  non solo dal  punto di
vista delle metodologie di individuazione e perimetrazione, ma anche,
conseguentemente, nella stessa scelta  sia delle aree collocate nella
categoria di prioritaria urgenza, sia delle altre.
  Per  le regioni  e le  Autorita'  di bacino  ove siano  disponibili
strumenti  conoscitivi e  di pianificazione  redatti da  Autorita' di
bacino  o  ulteriori  strumenti  di   area  vasta  o  locali,  questi
costituiranno riferimenti  di base per  la definizione delle  aree di
cui sopra.
  Le differenze sostanziali  che connotano i comma 1 e  2 dell'art. 1
del decreto-legge n.  180/1998 e, in particolare,  la possibilita' di
impegno delle risorse finanziarie relative  all'anno 1998 per le aree
dove  la maggior  vulnerabilita' del  territorio si  lega a  maggiori
pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale, rendono
necessari  percorsi   e  modalita'   operative  diverse.   E'  quindi
necessario  che il  presente  atto di  indirizzo  e coordinamento  si
esprima separatamente su di essi.
  Per le  aree a maggior  vulnerabilita' per il territorio,  legate a
maggiori  pericoli  per   le  persone,  le  cose   ed  il  patrimonio
ambientale, si  procedera' subito  alla definizione dei  programmi di
interventi urgenti  per l'impiego delle risorse  finanziarie relative
all'anno  1998. Si  procedera' quindi  all'opportuno raccordo  con le
attivita' di pianificazione e perimetrazione del territorio in corso,
adottando anche le necessarie misure di salvaguardia.
  L'art. 1  del decreto-legge n. 180/1998  si pone, al comma  1, come
obiettivo  quello di  far si  che le  autorita' e  le amministrazioni
preposte definiscano  la perimetrazione delle aree  esposte a rischio
idrogeologico  sull'intero  territorio   nazionale  nonche'  efficaci
misure  di salvaguardia.  A  cio' e'  destinata  parte delle  risorse
individuate al comma 1 dell'art. 8 della stessa legge.
  Nel  quadro della  accelerazione che  il decreto-legge  n. 180/1998
intende imprimere  a tutti gli  adempimenti della legge  n. 183/1989,
infatti, il comma 1 dell'art. 1  indica il termine del 30 giugno 1999
per l'adozione,  ove non si  sia gia' provveduto, dei  piani stralcio
per   l'assetto   idrogeologico,  dando   successivamente   carattere
perentorio per quella data alla individuazione e perimetrazione delle
aree  a  rischio  idrogeologico  e  alla  adozione  delle  misure  di
salvaguardia.
  E'  dunque da  intendersi che  le  Autorita' di  bacino di  rilievo
nazionale  ed  interregionale e  le  regioni  per i  restanti  bacini
compiranno ogni  sforzo, secondo l'intendimento del  legislatore, per
onorare  la scadenza  del 30  giugno  1999 per  l'adozione del  piano
stralcio di bacino; tuttavia il  presente atto deve fornire criteri e
indirizzi utili alla definizione  delle perimetrazioni e delle misure
di salvaguardia anche per il caso in cui l'iter relativo all'adozione
del piano stralcio non sia compiuto  entro la data che e' prevista in
modo perentorio per gli adempimenti di cui al successivo punto 2.
  Ove l'attivita'  di pianificazione di bacino  consenta di pervenire
ad un'articolazione  puntuale dei livelli di  rischio sul territorio,
le  Autorita' di  bacino e  le regioni  provvederanno a  individuare,
perimetrare e  sottoporre a  misure di  salvaguardia quelle  aree che
risultano esposte a rischio idrogeologico, nelle quali sono possibili
problemi  per  l'incolumita'  delle persone,  danni  funzionali  agli
edifici  e alle  infrastrutture  con  conseguente inagibilita'  degli
stessi, interruzione di funzionalita' delle attivita' socioeconomiche
(cfr. R3 e R4 di cui ai punti 2.2 e 2.3).
  Per le restanti  aree (cfr. R1 e R2  di cui ai punti 2.2  e 2.3) si
provvedera'  comunque  a  definire individuazione,  perimetrazione  e
misure di  salvaguardia, nell'ambito della predisposizione  del Piano
stralcio di bacino  per l'assetto idrogeologico, da  redigere entro i
termini  essenziali  fissati,  ai  sensi dell'art.  1,  comma  1  del
decreto-legge n. 180/1998, al punto 1 del presente atto.
  Ove  l'attivita' di  pianificazione  si trovi  allo stato  iniziale
dell'attivita' conoscitiva,  tali aree (R3 e  R4) saranno individuate
sulla base degli elementi di conoscenza disponibili e consolidati.
  La individuazione,  la perimetrazione e l'adozione  delle misure di
salvaguardia delle  aree a rischio dovra'  comunque essere effettuata
entro il 30 giugno 1999,  come fissato dal decreto-legge n. 180/1998,
con  le modalita'  indicate al  punto 3,  fase seconda,  del presente
atto.
  Per quanto invece riguarda i  programmi d'intervento urgenti di cui
al comma 2 dell'art. 1 del  decreto-legge n. 180/1998, il decreto non
fissa un termine temporale; e'  tuttavia evidente come tale comma sia
improntato  alla  logica  di   dare  soluzione  a  situazioni  aventi
carattere di  urgenza per  la presenza  di particolari  condizioni di
rischio.  Cio'   per  l'esplicito   richiamo  alla   possibilita'  di
utilizzare lo strumento dell'ordinanza di  cui all'art. 5 della legge
n.  225/1992, nonche'  per  le esigenze  connesse alla  utilizzazione
entro il corrente anno finanziario delle risorse messe a disposizione
dal comma 2  dell'art. 8 del decreto-legge n. 180/1998.  Si tratta in
definitiva di programmi d'intervento che  le Autorita' di bacino e le
regioni  possono gia'  aver predisposto  nell'ambito della  attivita'
ordinaria  o  che  comunque   possono  essere  definiti  con  estrema
rapidita' riferendosi a situazioni note.
  Con  il presente  atto di  indirizzo e  coordinamento, inoltre,  si
sottolinea che le misure  di salvaguardia, se opportunamente definite
e applicate, consentono un'efficace e  positiva azione di governo del
territorio   e    di   difesa   del   suolo,    impedendo   l'aumento
dell'esposizione al rischio in termini quantitativi e qualitativi.
  Si  ritiene,   infine,  che,  in   tutte  le  fasi   attuative  del
decreto-legge n. 180/1998, risulta di particolare importanza attivare
un  processo   di  concertazione  con  il   sistema  delle  autonomie
territoriali e  locali, dal momento che  le problematiche riguardanti
la difesa del suolo impongono  percorsi convergenti e cooperativi tra
Stato,  regioni, enti  locali sia  rispetto alla  pianificazione, sia
rispetto alla programmazione degli interventi.
  1. Piano stralcio di bacino  per l'assetto idrogeologico: Quadro di
riferimento normativo.
  L'art. 12 della legge 4 dicembre  1993, n. 493, ha integrato l'art.
17 della lege  18 maggio 1989, n. 183, prevedendo  la possibilita' di
redazione di piani stralcio relativi a settori funzionali interrelati
rispetto ai  contenuti del Piano  di bacino, che rimane  lo strumento
generale ed  organico dell'azione di pianificazione  e programmazione
delle azioni e delle norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla
difesa   e   alla  valorizzazione   del   suolo   sulla  base   delle
caratteristiche fisiche e ambientali del territorio interessato.
  Il decreto-legge  n. 180/1998  stabilisce che,  entro il  30 giugno
1999, le Autorita' di bacino  di rilievo nazionale e interregionale e
le regioni, per i restanti  bacini, adottino Piani stralcio di bacino
per  l'assetto idrogeologico.  Tali piani  debbono essere  redatti ai
sensi del  comma 6-ter dell'art.  17 sopra richiamato e  contenere in
particolare  la  individuazione  e  la perimetrazione  delle  aree  a
rischio idrogeologico.
  La   redazione  del   Piano  stralcio   di  bacino   per  l'assetto
idrogeologico,  nel  seguito  denominato  semplicemente  Piano,  deve
tenere conto, oltre che delle  disposizioni della legge n. 183/1989 e
della  legge n.  267/1998, anche  delle indicazioni  di coordinamento
gia' emanate ai sensi della stessa legge n. 183/1989, e precisamente:
  decreto del  Presidente del Consiglio  dei Ministri 23  marzo 1990,
"Atto di indirizzo e coordinamento ai fini della elaborazione e della
adozione degli schemi previsionali e programmatici di cui all'art. 31
della legge  18 maggio 1989, n.  183, recante norme per  il riassetto
organizzativo e funzionale della difesa del suolo";
  decreto del  Presidente della Repubblica  7 gennaio 1992,  "Atto di
indirizzo e coordinamento per determinare i criteri di integrazione e
di  coordinamento tra  le  attivita' conoscitivi  dello Stato,  delle
Autorita' di bacino e delle regioni per la realizzazione dei piani di
bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il
riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo";
  decreto   del  Presidente   della   Repubblica   18  luglio   1995,
"Approvazione dell'atto  di indirizzo  e coordinamento  concernente i
criteri per la redazione dei piani di bacino".
  Nel ribadire  la necessita' che  le Autorita' di bacino  di rilievo
nazionale  e  interregionale  e  le regioni  per  i  restanti  bacini
compiano ogni sforzo per accelerare i tempi relativi alla adozione ed
approvazione del Piano  stralcio di bacino, con il  presente atto, ai
sensi  di  quanto  previsto  all'ultimo   periodo  del  comma  1  del
decreto-legge  n.  180/1998  in  materia di  definizione  di  termini
essenziali per gli  adempimenti previsti dall'art. 17  della legge n.
183/1989 e  successive modificazioni,  vengono fissati i  termini per
l'adozione  e  per  l'approvazione  del  Piano  stralcio  di  bacino,
rispettivamente, entro il 30 giugno 2001 ed entro il 30 giugno 2002.
  2.   Individuazione  e   perimetrazione   delle   aree  a   rischio
idrogeologico (comma 1, art. 1, del decreto-legge n. 180/1998).
2.1. Criteri generali.
  Uno degli obiettivi principali che  il comma 1 si prefigge consiste
nella  perimetrazione su  tutto  il territorio  nazionale della  aree
interessate da condizioni di rischio idrogeologico.
  Quota  parte delle  risorse individuate  all'art. 8,  comma 1,  del
decreto-legge n. 180/1998 sono utilizzabili per l'individuazione e la
perimetrazione  delle  aree  a  rischio, e  per  la  definizione  dei
programmi di interventi.
  L'individuazione   esaustiva   delle    possibili   situazioni   di
pericolosita'   dipendenti   dalle  condizioni   idrogeologiche   del
territorio puo'  essere realizzata attraverso  metodologie complesse,
capaci  di  calcolare la  probabilita'  di  accadimento in  aree  mai
interessate in epoca storica da tali fenomeni.
  Tuttavia, i limiti temporali imposti  dalla norma per realizzare la
perimetrazione delle aree a rischio consentono, in generale, di poter
assumere, quale elemento essenziale per la individuazione del livello
di pericolosita', la localizzazione  e la caratterizzazione di eventi
avvenuti  nel passato  riconoscibili o  dei  quali si  ha al  momento
presente cognizione.
  Per quanto  attiene la valutazione  del rischio dipendente  da tali
fenomeni  di   carattere  naturale,   si  fa  riferimento   alla  sua
formulazione ormai consolidata in termini di rischio totale.
  Nella espressione di maggior  semplicita' tale analisi considera il
prodotto di tre fattori:  pericolosita' o probabilita' di accadimento
dell'evento calamitoso; valore degli  elementi a rischio (intesi come
persone,  beni  localizzati, patrimonio  ambientale);  vulnerabilita'
degli elementi  a rischio  (che dipende sia  dalla loro  capacita' di
sopportare    le   sollecitazioni    esercitate   dall'evento,    sia
dall'intensita' dell'evento stesso). Si dovra' far riferimento a tale
formula solo  per la individuazione  dei fattori che  lo determinano,
senza  tuttavia  porsi  come  obiettivo quello  di  giungere  ad  una
valutazione di tipo strettamente quantitativo.
  Per gli scopi del presente atto d'indirizzo e coordinamento sono da
considerarsi come elementi a rischio innanzitutto l'incolumita' delle
persone e inoltre, con carattere di priorita', almeno:
  gli agglomerati urbani comprese le zone di espansione urbanistica;
  le  aree   su  cui  insistono  insediamenti   produttivi,  impianti
tecnologici di rilievo,  in particolare quelli definiti  a rischio ai
sensi di legge;
  le infrastrutture  a rete  e le vie  di comunicazione  di rilevanza
strategica, anche a livello locale;
  il patrimonio ambientale e i beni culturali di interesse rilevante;
  le aree sede di servizi pubblici  e privati, di impianti sportivi e
ricreativi, strutture ricettive ed infrastrutture primarie.
  Le  attivita'  saranno  articolate  in tre  fasi  corrispondenti  a
diversi livelli di approfondimento:
  fase   uno:   individuazione   delle  aree   soggette   a   rischio
idrogeologico,    attraverso   l'acquisizione    delle   informazioni
disponibili sullo stato del dissesto;
  fase  due: perimetrazione,  valutazione  dei livelli  di rischio  e
definizione delle conseguenti misure di salvaguardia;
   fase tre: programmazione della mitigazione del rischio.
  Particolare importanza va data alla fase due poiche' consentira' la
perimetrazione di  aree sulla base  di una valutazione  speditiva del
rischio  sulle  quali saranno  applicate  le  misure di  salvaguardia
previste  dal  decreto-legge  n.   180/1998,  secondo  gli  indirizzi
esplicitati al successivo punto 3.
  In tale  fase va  effettuata, secondo  la metodologia  indicata nei
successivi punti  2.2 e 2.3,  la valutazione dei livelli  di rischio,
anche al fine  della definizione dei programmi previsti  dal comma 2,
dell'art. 1, del decreto-legge n. 180/1998.
  Nella  fase  tre,  nelle  aree perimetrate,  si  dovra'  sviluppare
l'analisi  fino  al  grado  di dettaglio  sufficiente  a  consentire,
l'individuazione,  la programmazione  e la  progettazione preliminare
degli interventi  di mitigazione del rischio  idrogeologico, comprese
le  eventuali necessarie  delocalizzazioni di  insediamenti, ai  fini
anche della quantificazione del necessario finanziamento.
2.2. Aree a rischio idraulico.
  Fase prima - Fase di individuazione delle aree a rischio idraulico.
  Nella  prima  fase  di  indagine dovranno  essere  individuati,  in
cartografia  in  scala  opportunamente prescelta  in  funzione  delle
dimensioni dell'area e comunque non  inferiore a 1:100.000, i tronchi
di  rete   idrografica  per  i   quali  dovra'  essere   eseguita  la
perimetrazione delle  aree a rischio.  Per ciascun tronco  fluviale o
insieme  di tronchi  fluviali  omogenei dovra'  essere compilata  una
scheda che riporti sinteticamente:
  la  tipologia  del punto  di  possibile  crisi, le  caratteristiche
idrauliche degli  eventi temuti (colate detritiche,  piene repentine,
alluvioni  di  conoide, ecc.  nei  bacini  montani; piene  dei  corsi
d'acqua  maggiori, piene  con pericolo  di dissalveamento,  piene con
deposito di materiale alluvionale,  sostanze inquinanti o altro, ecc.
nei corsi d'acqua di fondo valle o di pianura);
  la descrizione sommaria del sito e la tipologia dei beni a rischio;
  la valutazione dei fenomeni accaduti e  del danno temuto in caso di
calamita';
  le informazioni disponibili sugli eventi calamitosi del passato;
  i dati idrologici e topografici e gli studi gia' eseguiti che siano
utilizzabili nelle successive fasi di approfondimento.
  Le Autorita' di bacino e le regioni potranno utilizzare - a corredo
delle  informazioni disponibili  presso le  loro strutture  tecniche,
reperibili in  loco o  raccolte con  l'interpretazione geomorfologica
delle  osservazioni  di   campagna,  delle  foto  aeree   ecc.  -  le
informazioni  archiviate dal  Gruppo  nazionale per  la difesa  delle
catastrofi  idrogeologiche  del  Consiglio nazionale  delle  ricerche
(GNDCI-CNR), nell'ambito del progetto  Aree vulnerate italiane (AVI),
i cui risultati sono  presentati sinteticamente in rapporti regionali
editi a cura del GNDCI-CNR.
                               Art. 1.
  Fase seconda - Fase di  perimetrazione e valutazione dei livelli di
rischio.
  Le attivita' di seconda  fase dovranno condurre alla perimetrazione
delle aree a  rischio idraulico con grado  di definizione compatibile
con  la rappresentazione  su  cartografia in  scala  non inferiore  a
1:25.000. Disponendo  di adeguati  studi idraulici  ed idrogeologici,
saranno identificate  sulla cartografia  aree, caratterizzate  da tre
diverse  probabilita'  di  evento  e,  conseguentemente,  da  diverse
rilevanze di piena:
  a) aree  ad alta  probabilita' di inondazione  (indicativamente con
tempo di ritorno "Tr" di 20-50 anni);
  b) aree a moderata probabilita' di inondazione (indicativamente con
"Tr" di 100-200 anni);
  c) aree  a bassa  probabilita' di inondazione  (indicativamente con
"Tr" di 300-500 anni).
  Per ogni tronco fluviale o insieme di tronchi fluviali omogenei, la
rappresentazione  cartografica delle  aree  inondabili dovra'  essere
documentata  con  una  sintetica   scheda  che  dovra'  riportare  la
descrizione  della  procedura  adottata per  la  loro  individuazione
insieme con  le informazioni indicate  precedentemente, eventualmente
ampliate.
  In  casi  particolari,  ad  esempio, ove  l'esondazione  del  corso
d'acqua  possa   essere  provocata   da  fenomeni  di   rigurgito  in
conseguenza di  particolari criticita',  occorre suffragare  le stime
con risultati di calcoli idraulici semplificati.
  La  individuazione delle  aree  a rischio  idraulico ottenuta  come
risultato del calcolo idraulico  semplificato dovra' fare riferimento
alla  stima idrologica  della portata  di piena  prevedibile in  quel
tratto di corso d'acqua ed ai livelli.
  I valori delle  portate di piena con un assegnato  tempo di ritorno
possono essere dedotti anche  sulla scorta di valutazioni idrologiche
speditive o di semplici elaborazioni statistiche su serie storiche di
dati idrometrici.
  Comunque,  ove  possibile,  e'   consigliabile  che  gli  esecutori
traggano i valori di riferimento della  portata al colmo di piena con
assegnato tempo  di ritorno dalle elaborazioni  eseguite dal Servizio
idrografico e mareografico nazionale  oppure dai rapporti tecnici del
progetto VAPI messo a disposizione dal GNDCI-CNR.
  I  dati pluviometrici  e  idrometrici raccolti  dal  progetto e  un
modulo  software contenente  i codici  delle principali  procedure di
inferenza  statistica utilizzate  dal  progetto  sono estraibili  dal
sistema informativo SIVAPI accessibile tramite Internet.
  Il calcolo idraulico sara' corredato,  ove possibile, da un rilievo
topografico, pur speditivo,  del tronco fluviale allo  studio e delle
sezioni  critiche,  specialmente nei  casi  in  cui la  riduzione  di
pervieta' dell'alveo e' dovuta a opere antropiche.
  Dovranno  essere inserite  nell'area  sub c)  le  aree protette  da
argini,  ma  al   livello  di  piena  eccezionale,   ovvero  a  bassa
probabilita' di  inondazione, definita  precedentemente; l'esclusione
di  aree rientranti  in  questa  categoria e'  ammessa  solo se  puo'
ritenersi  insormontabile rispetto  a una  piena con  Tr di  200 anni
l'argine che le protegge.
  La perimetrazione delle aree cosi' individuate sara' riportata alla
scala adeguata, almeno 1:50.000, qualora la loro estensione sia molto
grande, nell'ambito  del Sistema cartografico di  riferimento oggetto
di specifica intesa tra Stato e regioni.
  In  assenza  di  adeguati  studi  idraulici  ed  idrogeologici,  la
individuazione  delle   aree  potra'   essere  condotta   con  metodi
speditivi,  anche estrapolando  da informazioni  storiche oppure  con
criteri  geomorfologici  e  ambientali,  ove non  esistano  studi  di
maggiore dettaglio.
  Utilizzando la cartografia in scala minima 1:25.000 e con l'ausilio
delle  foto  aeree,  dovra'  essere  individuata  la  presenza  degli
elementi  indicati nelle  premesse  (cfr. punto  2.1), riferiti  agli
insediamenti, alle  attivita' antropiche e al  patrimonio ambientale,
che risultano vulnerabili da eventi idraulici.
  Mediante tali  elementi si costruisce la  carta degli insediamenti,
delle attivita' antropiche e del patrimonio ambientale.
  Sulla base  della sovrapposizione delle forme  ricavate dalla carta
delle   aree  inondabili   e   dagli  elementi   della  carta   degli
insediamenti, delle attivita' antropiche e del patrimonio ambientale,
risulta  possibile eseguire  una  prima perimetrazione  delle aree  a
rischio e valutare, in tale ambito, le zone con differenti livelli di
rischio, al fine di stabilire  le misure piu' urgenti di prevenzione,
mediante interventi, e/o misure di salvaguardia.
  Con riferimento ad esperienze di pianificazione gia' effettuate, e'
possibile   definire   quattro   classi  di   rischio,   secondo   le
classificazioni di seguito riportate.
  Le diverse situazioni sono aggregate in quattro classi di rischio a
gravosita' crescente  (1=moderato/a; 2=medio/a;  3=elevato/a; 4=molti
elevato/a), alle quali sono attribuite le seguenti definizioni:
  moderato  R1:  per  il  quale  i  danni  sociali,  economici  e  al
patrimonio ambientale sono marginali;
  medio R2:  per il quale  sono possibili danni minori  agli edifici,
alle infrastrutture  e al patrimonio ambientale  che non pregiudicano
l'incolumita'  del   personale,  l'agibilita'  degli  edifici   e  la
funzionalita' delle attivita' economiche;
  elevato R3: per il quale  sono possibili problemi per l'incolumita'
delle persone,  danni funzionali  agli edifici e  alle infrastrutture
con  conseguente  inagibilita'  degli   stessi,  la  interruzione  di
funzionalita' delle  attivita' socioeconomiche  e danni  rilevanti al
patrimonio ambientale;
  molto elevato  R4: per il quale  sono possibili la perdita  di vite
umane e  lesioni gravi alle  persone, danni gravi agli  edifici, alle
infrastrutture  e   al  patrimonio  ambientale,  la   distruzione  di
attivita' socioeconomiche.
  Appartiene a tale fase la definizione delle misure di salvaguardia,
alle quali e' dedicato il successivo punto 3.
  Fase terza - Fase di programmazione della mitigazione del rischio.
  Detta fase si sostanzia in analisi ed elaborazioni, anche grafiche,
sufficienti ad  individuare le tipologie di  interventi da realizzare
per la mitigazione  o rimozione dello stato di  rischio, a consentire
l'individuazione,  la programmazione  e la  progettazione preliminare
per  l'eventuale finanziamento  degli  interventi  strutturali e  non
strutturali  di  mitigazione del  rischio  idraulico  o comunque  per
l'apposizione di vincoli definitivi all'utilizzazione territoriale, e
a  definire le  eventuali, necessarie  misure di  delocalizzazione di
insediamenti.
2.3. Aree a rischio di frana e valanga.
  Fase prima - Fase di individuzione  delle aree a rischio di frana e
valanga.
  Per  l'attivita' da  svolgersi  nell'ambito di  detta fase  occorre
avvalersi di un'analisi territoriale svolta in scala adeguata, almeno
1:25.000, in base ad elementi noti e a dati gia' disponibili.
  I  risultati   saranno  riportati   nel  Sistema   cartografico  di
riferimento oggetto di specifica intesa tra Stato e regioni.
  Mediante tale  attivita' conoscitiva,  va realizzata una  carta dei
fenomeni franosi e valanghivi, utile  per la definizione delle zone a
differente  pericolosita' e,  quindi,  alla perimetrazione  speditiva
delle  aree a  rischio. Questo  elaborato deve  possedere un  livello
minimo   di   informazioni,  qualitativamente   e   quantitativamente
adeguato, e  comunque tale  da consentire  lo svolgimento  delle fasi
successive.
  Ove si sia  nella fase iniziale dell'attivita'  conoscitiva si puo'
utilizzare la metodologia predisposta dai Servizi tecnici nazionali a
mezzo di una carta inventario di cui all'allegato.
  I fenomeni di valanga si  intendono nel seguito inclusi nel termine
movimenti franosi (allegati A, B).
  Ulteriori  informazioni   disponibili  sulle   caratteristiche  dei
singoli fenomeni franosi dovranno essere acquisite mediante la scheda
elaborata dal Servizio geologico nazionale (pubblicata sul volume VII
- Miscellanea) allegata al presente atto (allegato C).
  Le Autorita' di bacino e le regioni potranno utilizzare - a corredo
delle  informazioni disponibili  presso le  loro strutture  tecniche,
reperibili in  loco o  raccolte con  l'interpretazione geomorfologica
delle  osservazioni  di   campagna,  delle  foto  aeree   ecc.  -  le
informazioni  archiviate dal  Gruppo  nazionale per  la difesa  delle
catastrofi  idrogeologiche  del  Consiglio nazionale  delle  ricerche
(GNDCI-CNR), nell'ambito del progetto  Aree vulnerate italiane (AVI),
i cui risultati sono  presentati sinteticamente in rapporti regionali
editi a cura del GNDCI-CNR.
  Fase seconda - Fase di  perimetrazione e valutazione dei livelli di
rischio.
  Dalla  fase di  individuazione  delle aree  pericolose  si passa  a
quella  della  perimetrazione delle  aree  a  rischio attraverso  una
valutazione basata sull'esistenza di  persone, beni e attivita' umane
e del patrimonio ambientale.
  Nella  sostanza  questa  fase  e'   finalizzata  da  un  lato  alla
individuazione delle  aree pericolose,  ai fini  della pianificazione
territoriale; d'altro lato alla specifica valutazione delle strutture
ed attivita'  a rischio  in maniera da  consentire di  predisporre le
piu'   opportune  e   urgenti   misure   di  prevenzione   (attivita'
pianificatoria, vincolistica temporanea, ecc).
  Utilizzando la cartografia tecnica  a scala minima 1:25.000 recante
la  perimetrazione  ricavata  dalla  carta  dei  fenomeni  franosi  e
valanghivi, con  l'ausilio eventuale  delle foto aeree,  e' possibile
individuare la presenza degli elementi, gia' indicati nelle premesse,
che risultano vulnerabili da eventi di frana e valanga.
  Mediante tali elementi si  costituisce la Carta degli insediamenti,
delle attivita' antropiche e del patrimonio ambientale di particolare
rilievo.
  Sulla base della sovrapposizione della carta dei fenomeni franosi e
della  carta degli  insediamenti,  delle attivita'  antropiche e  del
patrimonio  ambientale e'  possibile una  prima perimetrazione  delle
aree a rischio,  secondo differenti livelli, al fine  di stabilire le
misure   di  prevenzione,   mediante   interventi  strutturali,   e/o
vincolistici.
  Come gia' visto al paragrafo  2.2, si definiscono quattro classi di
rischio, secondo la classificazione di seguito riportate.
  Le diverse situazioni sono aggregate in quattro classi di rischio a
gravosita' crescente  (1=moderato/a; 2=medio/a;  3=elevato/a; 4=molto
elevato/a), alle quali sono attribuite le seguenti definizioni:
  moderato  R1:  per  il  quale  i  danni  sociali,  economici  e  al
patrimonio ambientale sono marginali;
  medio R2:  per il quale  sono possibili danni minori  agli edifici,
alle infrastrutture  e al patrimonio ambientale  che non pregiudicano
l'incolumita'  del   personale,  l'agibilita'  degli  edifici   e  la
funzionalita' delle attivita' economiche;
  elevato R3: per il quale  sono possibili problemi per l'incolumita'
delle persone,  danni funzionali  agli edifici e  alle infrastrutture
con  conseguente  inagibilita'  degli   stessi,  la  interruzione  di
funzionalita' delle  attivita' socioeconomiche  e danni  rilevanti al
patrimonio ambientale;
  molto elevato  R4: per il quale  sono possibili la perdita  di vite
umane e  lesioni gravi alle  persone, danni gravi agli  edifici, alle
infrastrutture  e   al  patrimonio  ambientale,  la   distruzione  di
attivita' socioeconomiche.
  Tale  fase  si   conclude  con  la  definizione   delle  misure  di
salvaguardia, alle quali e' dedicato il successivo punto 3.
  Fase terza - Fase di programmazione della mitigazione del rischio.
  Detta fase si sostanzia in analisi ed elaborazioni, anche grafiche,
sufficienti ad  individuare le tipologie di  interventi da realizzare
per  la  mitigazione o  rimozione  dello  stato di  pericolosita',  a
consentire  l'individuazione, la  programmazione  e la  progettazione
preliminare   per   l'eventuale    finanziamento   degli   interventi
strutturali e non  strutturali di mitigazione del rischio  di frana o
valanga,  o,   comunque,  per   l'apposizione  di   vincoli  definiti
all'utilizzazione   territoriale   comprese  le   indicazioni   delle
eventuali, necessarie delocalizzazioni di insediamenti.
  E' propria  di questa  fase l'indagine  geologica e  geotecnica per
l'acquisizione  dei parametri  ed  elementi  di valenza  progettuale,
nonche' l'eventuale monitoraggio.
3. Misure di salvaguardia.
  Le aree a rischio idrogeologico individuate e perimetrate. ai sensi
dell'art. 1, comma 1 del  decreto-legge n. 180/1998, sono sottoposte,
con  provvedimento  delle regioni  o  delle  Autorita' di  bacino,  a
vincolo  temporaneo  costituente  misure di  salvaguardia,  ai  sensi
dell'art. 17, comma 6-bis, della legge n. 183/1989.
  Nel caso  le misure di  salvaguardia siano adottate in  assenza del
Piano  stralcio di  cui all'art.  1,  comma 1,  del decreto-legge  n.
180/1998, o  del Piano di  bacino di cui  all'art. 17 della  legge n.
183/1989, tali misure resteranno  in vigore sino all'approvazione del
Piano di bacino e comunque non oltre il 30 giugno 2002.
  Nella predisposizione delle misure di salvaguardia si dovra' tenere
conto della  tutela e conservazione  del patrimonio ambientale  e dei
beni culturali.
3.1. Misure di salvauardia per il rischio idraulico.
  Le aree a rischio idraulico si articolano, al punto 2.2, in diversi
livelli. Nei casi  in cui non sia possibile attribuire  ad un area un
determinato livello  di probabilita',  verra' applicata la  norma piu
restrittiva di cui al successivo punto a).
  Per  dette  aree   sono  indicati  i  seguenti   indirizzi  per  la
definizione delle norme di salvaguardia.
    a) Aree a rischio molto elevato.
  In tali aree sono consentiti esclusivamente:
  gli interventi idraulici volti alla messa in sicurezza delle aree a
rischio,  approvati  dall'Autorita'  idraulica  competente,  tali  da
migliorare   significativamente   le  condizioni   di   funzionalita'
idraulica, da  non aumentare il rischio  di inondazione a valle  e da
non  pregiudicare   la  possibile  attuazione  di   una  sistemazione
idraulica definitiva.
  Sono  altresi' consentiti  i seguenti  interventi a  condizione che
essi non  aumentino il  livello di rischio  comportando significativo
ostacolo  al deflusso  o  riduzione apprezzabile  della capacita'  di
invaso  delle  aree  stesse  e  non  precludano  la  possibilita'  di
eliminare le cause che determinano le condizioni di rischio:
  gli  interventi di  demolizione  senza ricostruzione,  manutenzione
ordinaria e straordinaria,  restauro, risanamento conservativo, cosi'
come definiti  alle lettere a), b)  e c) dell'art. 31  della legge n.
457/1978, e senza aumento di  superficie o volume, interventi volti a
mitigare la vulnerabilita' dell'edificio;
  la   manutenzione,  l'ampliamento   o  la   ristrutturazione  delle
infrastrutture pubbliche  o di interesse pubblico  riferiti a servizi
essenziali e  non delocalizzabili, nonche' la  realizzazione di nuove
infrastrutture  parimenti  essenziali,   purche'  non  concorrano  ad
incrementare il  carico insediativo e non  precludano la possibilita'
di attenuare  o eliminare le  cause che determinano le  condizioni di
rischio, e  risultino essere comunque coerenti  con la pianificazione
degli interventi d'emergenza di protezione civile.
  I progetti relativi agli interventi ed alle realizzazioni in queste
aree   dovranno   essere  corredati   da   un   adeguato  studio   di
compatibilita'   idraulica   che   dovra'   ottenere   l'approvazione
dell'Autorita' idraulica competente.
    b) Aree a elevato rischio.
  In tali aree sono consentiti esclusivamente:
  interventi  di cui  alla precedente  lettera a)  nonche' quelli  di
ristrutturazione edilizia, a condizione  che gli stessi non aumentino
il  livello di  rischio  e non  comportino  significativo ostacolo  o
riduzione apprezzabile  della capacita'  di invaso delle  aree stesse
ovvero che le superfici destinate ad  uso abitativo o comunque ad uso
economicamente rilevante siano realizzate  a quote compatibili con la
piena di riferimento;
  interventi di  ampliamento degli  edifici esistenti  unicamente per
motivate necessita'  di adeguamento igienicosanitario,  purche' siano
compatibili con le condizioni di rischio che gravano sull'area. A tal
fine i  progetti dovranno essere  corredati da un adeguato  studio di
compatibilita' idraulica;
  manufatti che non siano  qualificabili quali volumi edilizi purche'
siano compatibili con le condizioni di rischio che gravano sull'area.
A tal fine i progetti dovranno essere corredati da un adeguato studio
di compatibilita' idraulica.
3.2. Misure di salvaguardia per rischio di frana.
  Le aree  a rischio  di frana  vengono di  massima ripartite  in due
diversi livelli di rischio.
  Per  dette  aree   sono  indicati  i  seguenti   indirizzi  per  la
definizione delle norme di salvaguardia.
    a) Aree a rischio molto elevato.
  In tali zone sono consentiti esclusivamente:
   gli interventi di demolizione senza ricostruzione;
  gli interventi  di manutenzione ordinaria cosi'  come definiti alla
lettera a) dell'art. 31 della legge n. 457/1978;
  gli interventi  strettamente necessari a ridurre  la vulnerabilita'
degli  edifici esistenti  e  a migliorare  la  tutela della  pubblica
incolumita', senza aumenti di  superficie e volume, senza cambiamenti
di destinazione d'uso che comportino aumento del carico urbanistico;
  gli   interventi  necessari   per  la   manutenzione  ordinaria   e
straordinaria di opere pubbliche o di interesse pubblico;
  tutte le opere di bonifica e sistemazione dei movimenti franosi.
    b) Aree a elevato rischio.
  Oltre  agli  interventi  ammessi  per l'area  a),  sono  consentiti
esclusivamente:
  gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento
conservativo, cosi' come  definiti alle lettere b) e  c) dell'art. 31
della  legge  n. 457/1978,  senza  aumento  di superficie  o  volume,
interventi volti a mitigare la vulnerabilita' dell'edificio;
  gli interventi  di ampliamento  degli edifici  esistenti unicamente
per motivate necessita' di adeguamento igienicosanitario.
  4. Programmi  di interventi  urgenti per  la riduzione  del rischio
(comma 2, art. 1, del decreto-legge n. 180/1998).
 4.1 Criteri generali.
  I  programmi di  interventi urgenti  per la  riduzione del  rischio
idrogeologico nelle  zone nelle quali la  maggiore vulnerabilita' del
territorio si lega a maggiori pericoli  per le persone, le cose ed il
patrimonio  ambientale  sono  definiti, d'intesa  con  la  conferenza
permanente per  i rapporti  tra lo  Stato, le  regioni e  le province
autonome, dal Comitato dei Ministri, di cui all'art. 4 della legge n.
183/1989 di  norma sulla  base delle proposte  delle regioni  e delle
Autorita' di bacino e di  altre proposte formulate dai componenti del
Comitato dei Ministri di cui all'art.  4 della legge n. 183 del 1989,
preventivamente comunicate  alle regioni  e alle Autorita'  di bacino
competenti.
  Detti programmi terranno conto:
  dei programmi  gia' in  essere da parte  delle Autorita'  di bacino
nazionali;
  dei  programmi  in essere  delle  regioni,  nell'ambito dei  bacini
idrografici di rilievo regionale e interregionale.
  I predetti programmi di intervento  verranno coordinati con i Piani
stralcio  di  bacino per  l'assetto  idrogeologico  redatti ai  sensi
dell'art.  1,  comma 1  del  decreto-legge  n.  180/1998, di  cui  il
presente atto tratta al punto 1.
  Il raggiungimento degli obiettivi  che vengono fissati dall'art. 1,
comma 2,  del decreto-legge n. 180/1998  dipende dalla individuazione
delle aree a maggior vulnerabilita' effettuata secondo le metodologie
proposte  ai paragrafi  seguenti e,  sostanzialmente, dalla  qualita'
della selezione  dei programmi d'intervento che  sara' effettuata dal
Comitato dei  Ministri, di  cui all'art. 4  della legge  n. 183/1989,
d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e  le province autonome,  e che dovra' assicurare  la massima
coerenza con la logica della norma oltre che con i tempi e le risorse
da  essa attribuite.  Tale selezione  deve infatti  essere improntata
alla individuazione  di una quantita' molto  limitata d'interventi ai
quali sia possibile riconoscere una  immediata efficacia nel senso di
riduzione di rischio esistente.
  Il carattere chiaramente emergenziale del provvedimento che e' teso
a  risolvere  situazioni  note  e improcrastinabili  in  presenza  di
limitate risorse, porta ad escludere tendenzialmente che si tratti di
interventi, a carattere  strutturale, di grandi dimensioni  o di area
vasta. Si  tratta piuttosto  di interventi, generalmente  a carattere
puntuale,  atti  a ridurre  i  rischi  locali  e  al tempo  stesso  a
concorrere alla riduzione dei rischi a scala di bacino.
  I caratteri della norma gia'  richiamati e la scontata esiguita' di
risorse, tendono ad  escludere anche che si possa dar  luogo, in fase
di prima  applicazione, ad  un approfondimento  ampio e  rigoroso sul
piano  conoscitivo;   i  soggetti   proponenti  si   dovranno  quindi
principalmente basare su quanto e' a loro conoscenza, realizzando una
sintesi delle informazioni disponibili  che consenta di inquadrare il
fenomeno di dissesto e individuare gli interventi piu' urgenti tesi a
limitarne  gli   effetti,  ovvero,   nella  fattispecie,   si  potra'
provvedere  rapidamente  ad  una progettazione,  anche  associata  ad
azioni manutentive immediate.
4.2. Elementi essenziali per l'istruttoria.
  In  base  ai criteri  generali  su  esposti i  soggetti  proponenti
dovranno  soprattutto  garantire  una piena  coerenza  dei  programmi
d'intervento  con   gli  obiettivi  e  la   portata  dello  strumento
legislativo. In particolare,  a fronte di risorse esigue  e quindi di
un  sicuro  scompenso  nei  confronti della  domanda,  e'  necessario
garantire  che per  ciascun intervento  proposto sia  predisposta una
descrizione essenziale, basata sulla  compilazione di apposite schede
(allegati D e E) del fenomeno  che determina le condizioni di rischio
e dell'intervento  proposto, anche al  fine di assicurare  la massima
omogeneita' e confrontabilita' delle proposte di interventi.
  Cio'  consentira'   di  ordinare   per  priorita'   gli  interventi
all'interno  di ciascun  programma  nonche'  di comparare  interventi
appartenenti a  programmi, e quindi  a regioni o bacini,  diversi. Il
quadro  d'insieme che  emergera' da  una lettura  e comparazione  dei
programmi che  avranno, in  virtu' di  quanto sopra,  una sufficiente
omogeneita' di  contenuti, consentira'  inoltre di  sviluppare, nelle
varie fasi, l'attivita' istruttoria  affidata ai soggetti individuati
dal  comma  2-bis  dell'art.  1  del  decretolegge  n.  180/1998,  di
esprimere  la  prevista  intesa  alla  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra  Stato e regioni  e province  autonome e di  definire il
programma  complessivo degli  interventi  al  Comitato dei  Ministri,
istituito ai sensi dell'art. 4 della legge n. 183/1989.
  La descrizione  degli interventi si  fondera' in larga  parte sulla
valutazione di  rischio dipendente da fenomeni  a carattere naturale,
come  definita  dal   punto  3.1  che  si  avvale   di  un  approccio
consolidato.  Per  gli  interventi   da  finanziare  con  le  risorse
disponibili  nel  bilancio  1998  le  proposte,  redatte  secondo  le
modalita' sopra descritte, vanno inoltrate entro il 15 ottobre 1998.
5. Province autonome di Trento e Bolzano.
  Restano salve le  competenze in materia delle  province autonome di
Trento e Bolzano.